PROIEZIONI
Negli ultimi giorni ci siamo addentrati nell’argomento “ᴏᴍʙʀᴀ”, parlando di tutto ciò che si attiva al nostro interno quando proviamo un qualche tipo di fastidio dovuto ad una situazione.
Troviamo che l’argomento sia davvero gigantesco, tanto quanti sono i lati che compongono l’essere umano.
Tuttavia, proveremo qui a cogliere qualche aspetto di ciò che si sente dire o si legge a proposito dell’ombra.
Prendiamo spunto dal sito Jungitalia.it, dove si parla di proiezione come “fenomeno affascinante, che a scuola difficilmente ci viene insegnato”.
“È un trasferimento involontario del nostro comportamento inconscio sugli altri,
in modo da farci credere che queste qualità in realtà appartengano ad altre persone”.
Citando lo stesso Carl Gustav Jung: “Tutto ciò che ci irrita negli altri, può portarci a capire noi stessi“.
Ovviamente, la citazione di Jung, presa così, potrebbe aprire ᴍɪʟʟᴇ ᴘᴏʀᴛᴇ all’interno di noi stessi, senza farcene chiudere nemmeno una.
Se è vero infatti che non possiamo piacere a tutti (a meno che non ci limitiamo ad asserire), è vero anche che, non tutti, ci piacciono.
Sempre dal sito Jungitalia.it:
“Se per esempio siamo a disagio con la nostra rabbia o la neghiamo,
attireremo persone colleriche nella nostra vita,
sopprimeremo il nostro personale senso di rabbia e sentenzieremo che gli altri sono collerici.
Dal momento che mentiamo a noi stessi riguardo ai nostri sentimenti più intimi,
l’unico modo per ritrovarli è vederli negli altri:
essi ci rimandano l’immagine riflessa delle nostre emozioni nascoste,
e questo ci permette di riconoscerle e riappropriarcene.”
Si dice inoltre che “sɪ ʀɪᴄᴏɴᴏsᴄᴇ sᴏʟᴏ ᴄɪᴏ̀ ᴄʜᴇ sɪ ᴄᴏɴᴏsᴄᴇ”, ovvero ciò che proiettiamo, se non fosse anche dentro di noi, non potremmo riconoscerlo negli atri.
Ci è venuta in mente una piccola “ricetta” letta su un’agenda – ad opera di Elena Orlandi – in voga qualche anno fa, che riportava la perfetta equazione per liberarsi dal meccanismo della proiezione, ovvero da ciò che avvertivamo come “fastidio interno”. L’autrice dell’agenda – “365+1 Chissenefrega” in vendita in libreria e online – proponeva due tipi di situazioni, che riportiamo letteralmente:
Situazione 1: Sei infastidito da chi fa o dice qualcosa che anche tu ambisci a dire o fare, ma ancora non sei in grado di dire o fare. Ciò che ti infastidisce è: non essere ancora in grado.
Situazione 2: Sei infastidito da chi fa o dice qualcosa che tu consideri sbagliato, ma che tu stesso ancora fai o dici. E’ un difetto che vorresti eliminare, ma ti appartiene. Questo ti infastidisce: riconoscere un difetto che ancora ti appartiene.
L’autrice del libro chiudeva la sua argomentazione scrivendo: “Non perdere tempo: le situazioni tipo sono queste, non ce ne sono altre”. Sfogliando l’agenda, ci siamo imbattuti anche su un’altra considerazione riportata (che ci è piaciuta di più): “Se vuoi sapere chi hai accanto, prova a contraddirlo e senza saperlo, sarà lui a risponderti”.
Ora, l’acceso invito da parte dell’autrice sul “non perdere tempo”, non ha fatto altro che destare la nostra curiosità, spingendoci ad auto riflettere attraverso diversi ambiti sulla questione, trovando molto riduttiva la semplice “ricetta” consigliata, la quale esclude tutte le ipotesi che non rientrano nel lato “ombra” quando si parla di personalità”.
Quando si ha a che fare con l’ “osservazione dell’ombra” si parla di attenzione rivolta verso sé stessi e verso l’altro, cosa che può aiutarci a capire meglio non solo ʟᴀ ᴘᴇʀsᴏɴᴀ ᴄʜᴇ sɪᴀᴍᴏ, ma anche ʟᴀ ᴘᴇʀsᴏɴᴀ ᴄʜᴇ ᴀʙʙɪᴀᴍᴏ ᴅɪ ғʀᴏɴᴛᴇ.
Raccontiamo un piccolo aneddoto – accaduto a una nostra cliente – che l’ha lasciata abbastanza di stucco:
“Ho organizzato un incontro per far conoscere due miei amici, due persone per me molto importanti in quel momento di vita. Ci siamo incontrati al bar e abbiamo trascorso un paio d’ore in allegra compagnia, tra presentazioni reciproche e iniziali affinità. La mia amica aveva dimostrato di essere estroversa e a suo agio con “il nuovo arrivato” e, dopo chiacchiere e risate, al momento dei saluti, si è congedata con un caloroso abbraccio, mentre io, sorridendo, assistevo alla scena, felice che avessero trovato delle affinità reciproche. Ricordo che la mia amica disse, abbracciando colui che fino a due ore prima le era estraneo: “attento, è gelosa”, rivolgendosi chiaramente a me. Quando ripenso a quell’episodio, conoscendo la possessività della mia amica, vedo che in lei ha agito il meccanismo della proiezione, dato che in quel momento – né prima – dentro di me non c’era alcuna emozione legata alla gelosia”.
Episodi di questo tipo, spesso, ci vengono riferiti accompagnati da un’aria divisa a metà tra innocenza e stupore. La nostra cliente, infastidita dalla proiezione di cui è stata soggetto (e oggetto), potrebbe rientrare nella casistica di Elena Orlandi e della sua ovvia ricetta per rimettere le cose a posto, togliendo “ʟ·ɪɴᴅɪᴠɪᴅᴜᴏ ᴇ ɪʟ sᴜᴏ sɪsᴛᴇᴍᴀ” dall’equazione.
Noi, preferiamo sposare la frase con la quale Elena ci invita a “contraddire”, semplicemente perché – tramite l’esperienza – abbiamo notato che non esiste una formula magica idonea a smascherare l’ombra al nostro interno, se non l’autoriflessione e il confronto, che ovviamente tolgono la semplicità del “si riconosce solo ciò che si conosce”.
Se dovessimo creare un’assioma con l’invito dell’autrice di questa agenda, dovremmo considerare anche tutte le situazioni estreme, come gli ultras. Possiamo provare fastidio verso gli ultras e verso le loro dimostrazioni di violenza, ma ciò non vuol dire che non siamo in grado di essere violenti, aspirando a diventarlo (situazione 1 dell’agenda) o che la violenza ci appartiene e il fatto di non riconoscerla al nostro interno ci infastidisce (situazione 2 dell’agenda).
Riportiamo, ancora, altre saggezze prese a prestito dal sito Jungitalia.it:
Non sono soltanto le qualità negative di una persona a essere proiettate all’esterno in questo modo,
ma in uguale misura anche quelle positive.
La proiezione di queste ultime genera una valutazione e ammirazione eccessive, illusorie e inadeguate dell’oggetto.
L’introspezione nelle proprie proiezioni d’Ombra implica in primo luogo una umiltà morale e una intensa sofferenza.
Invece l’introspezione nelle forme di proiezione dell’Animus e dell’Anima richiede, più che umiltà, soprattutto riflessione, nel senso di saggezza e umanità. Infatti quelle figure intendono sedurci e allontanarci dalla realtà, assorbendoci e conquistandoci.
Chi non si impegna in questo non ha vissuto. Chi vi si perde non ha compreso nulla.
Così come non sposiamo completamente l’interpretazione “asciutta” data da alcuni manuali, relativa alle proprie zone d’ombra, così non la scartiamo completamente, ponendoci piuttosto in una situazione di osservazione e di visione.
Se è vero infatti che è sempre e solo l’altro il portatore di caratteristiche scomode (ovvero, il nostro dito è sempre e solo puntato verso l’esterno), è vero anche che facendo questo ci mettiamo al riparo da qualsiasi “mancanza interna” e automaticamente ci priviamo della ᴘᴏssɪʙɪʟɪᴛᴀ̀ ᴅɪ ɪɴᴛʀᴏsᴘᴇᴢɪᴏɴᴇ che la visione dell’ombra offre – possibilità che ovviamente è portatrice di “sofferenza”, dato che il vederci “mancanti” può crearci dolore e privarci dell’immagine di perfezione che spesso ci raccontiamo. Noi crediamo che un dolore di questo tipo sia costruttivo e performante, volto a farci integrare le parti di noi che tanto facilmente rifiutiamo.
Come la linea guida offerta dalla famosa parabola del Vangelo: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”, anche la psicologia dispensa tentativi volti ad illuminare il lato oscuro, sottolineando che “Se provate a indicare qualcuno tenendo la mano dritta davanti a voi, vi accorgete che un dito è puntato verso l’altra persona ma tre sono rivolte verso di voi: questo può servire a ricordarvi che quando denigriamo gli altri in realtà stiamo solo negando un aspetto di noi stessi.”
Prese così come lette (o come dette), queste frasi suggeriscono un approccio semplice e privo di fraintendimenti, portando diktat immobili a ciò che immobile e privo di sfumature non è: la personalità.
Per quanto ci riguarda, allontanandoci da concetti semplicistici, l’unico suggerimento che ci sentiamo di dare è lo stesso consiglio che ci invita alla vita: ᴘᴏʀᴄɪ ᴅᴏᴍᴀɴᴅᴇ.
E’ nell’introspezione che l’ombra si rivela e si svela e se siamo qui, al nostro interno, possiamo essere sicuri che lo scoglio del “dito puntato” non ci appartiene, perché solitamente chi punta il dito non osa farsi domande: sono queste ultime il confine tra la cosiddetta “paura della propria ombra” e l’accoglimento di essa.
Un po’ come Peter Pan, se non siamo consapevoli delle nostre parti “scure”, queste prenderanno il sopravvento, svolazzando in giro senza controllo e appoggiandosi ovunque, tranne dove dovrebbero stare: ᴀᴅᴅᴏssᴏ ᴀ ɴᴏɪ ᴍᴀ ᴄᴀʟᴀᴛᴇ ɴᴇʟ ᴄᴏɴᴛᴇsᴛᴏ.