PRESENZA E PARTECIPAZIONE

 

Oggi vorremmo parlare della zia Ludovica e delle sue preziose ricette.

 


 

Chi è la zia Ludovica?! È una persona per noi davvero speciale!

La storia racconta che tanto, tanto tempo fa, la zia Ludovica si trovò in difficoltà a causa di eventi su eventi su eventi che la colpirono direttamente.

Il suo fisico iniziò a cedere e così la sua anima delicata, tanto che avere un tetto sopra la testa, cibo nel frigorifero, il riscaldamento che funzionava erano cose talmente di lusso che la zia Ludovica non si poteva sempre permettere.

Quindi, mentre cercava di cavarsela come poteva, le persone attorno a lei, sempre di più, si allontanavano da lei, alcune perché la zia era povera e malata. 

Così, con il passare del tempo, quella persona gentile, accudente e dolce iniziò a rimanere sempre più sola e isolata, per tutte le difficoltà che una dopo l’altra le accadevano. 

Lei, soffriva molto per questo ma era riservata, silenziosa, e non diceva nulla.

A raccontarla così, sembra un po’ di rievocare la favola di Cenerentola: come sappiamo tutti, Cenerentola era una ragazza tutta cenere e silenzio, intenta a cavarsela in ogni situazione, soccombendo alle matrigne, mentre lasciava in un cassetto i suoi sogni e tutto il suo essere.

La differenza, però, tra Cenerentola e la zia Ludovica è che Cenerentola era in forma, mentre la zia Ludovica non stava bene.

Così, con il passare del tempo, solo alcuni continuarono ad avere relazioni con lei, rapportandosi realmente con quella persona per cogliere  tutto ciò che aveva da dare. Alcuni sì, altri no.

La zia Ludovica aveva molte cose da raccontare, quindi, dato che io ero molto affezionata a lei fui tra le persone che continuarono a chiamarla e a chiederle come stava.

Un giorno, la zia Ludovica mi raccontò che aveva trovato un vecchio libro di ricette ereditato dalla prozia di sua mamma.

Mi disse che, quando aveva trovato quel prezioso volume fatto di pagine ingiallite si era commossa perché, leggendo, si era ricordata di quando sua madre le cucinava il polipo ed era così tanta la gioia che aveva provato nel rievocare quel ricordo che la condivise con me (e mi commossi anche io).

Lei, felice di sentirmi e di parlare con qualcuno, mi confidò che avrebbe voluto ripetere la ricetta del polipo, dato che amava cucinare, ma che non poteva farlo perché stava attraversando un complicato momento e non aveva i soldi per pagare il riscaldamento, figurarsi quelli per comperare il cibo. 

Le dissi di non preoccuparsi: il polipo poteva aspettare, ciò che contava davvero è che stesse bene. 

Era molto triste e a me non andava di vederla così, quindi le dissi: “tu zia … hai me, e insieme possiamo fare qualcosa perché io ho te e tu hai me! Che ne dici?

Così, io e mia zia iniziammo a parlare e a trascorrere sempre più tempo insieme. Più ci raccontavamo, più scoprivamo molte cose l’una dell’altra: sogni, ambizioni, paure, idee, racconti.

Un giorno mi parlò di quando era bambina e scoprii che le piaceva pescare.

Così, le chiesi se se la sentiva di andare a pesca con me. Costruimmo una canna “alla buona” e andammo a trote.

Lei mi chiese: “Ma perché andiamo a trote?”

Io le spiegai che se riuscivamo a prendere una trota, magari poi lei poteva dilettarsi a cucinarla. Magari, qualcuno avrebbe potuto apprezzare la sua trota e lei avrebbe potuto ricavarci dei soldi e, finalmente, comprare il polipo.

Accettò il patto, con un po’ di ritrosia ma un filo di speranza.

Quindi, di trota in trota, più la conoscevo e più scoprivo, tramite i suoi racconti, che era ed è una vera bomba ai fornelli, oltre ad essere anche una di quelle donne che custodiscono accuratamente tutto ciò che le riguarda: solo pochi possono accedere alle prelibatezze della sua cucina e lei è gelosissima delle sue ricette che prendono tutti per la gola.

Mi confidò che durante tutte quelle telefonate in cui le chiedevo come stava e in cui ci scambiavamo un qualcosa, lei era molto felice.

Dopo qualche tempo, un uomo facoltoso si avvicinò alla zia Ludovica mentre era a pesca e le chiese come mai c’erano tutte quelle trote nel suo secchiello.

Lei, con estremo entusiasmo, parlò della sua passione per la pesca e dei modi in cui cucinava la trota: tante trote per tante ricette!” – gli disse.

Fatalità, l’uomo che le si avvicinò quel giorno, era un gentiluomo che amava la buona cucina e chiese alla zia Ludovica se poteva cucinare quelle trote per i suoi figli, attratto da quelle ricette sfiziose ed accattivanti.

Quindi, mia zia Ludovica iniziò a cucinare per la sua famiglia, facendo felici i bambini di quel signore.

Un giorno, mi chiamò e mi invitó ad andare al supermercato con lei: si fermò al banco del pesce e molto accuratamente scelse il polipo più costoso che c’era.

Io le dissi: “ma zia… sei sicura?”, pensando a tutte le difficoltà in cui si stava destreggiando. Lei mi guardò con gli occhi pieni di giubilo per ciò che aveva in mente, poi annuì e, accarezzandomi la guancia, sussurrò: “tesoro, vieni con me”.

La zia Ludovica… quando si mette in testa una cosa, è quella! E’ difficile contraddirla.

Aveva deciso che voleva prepararmi il polipo.

Ora, con la zia Ludovica non si può molto chiacchierare mentre lei è intenta a sfogliare i libri di cucina e armeggiare dietro ai fornelli: è un anima a sé stante, una piccola professoressa dei sapori e del “q.b.” e, tra un q.b. e l’altro, quel giorno cucinò il polipo e mi fece sedere a tavola.

Aveva preparato tutto davvero minuziosamente: la tovaglia ricamata, il piatto del servizio buono, le posate accuratamente posizionate.

Tutta contenta, come fosse una bambina al parco giochi, mise il suo polipo sul piatto.

Mi guardò e mi chiese:

  • “Com’è?” 

Risposi che era prelibato.

Le chiesi cosa potevo fare per lei: da quando ci conoscevamo, tramite i suoi racconti mi aveva insegnato cose innumerevoli sulla pesca, sulle trote e tanto tanto altro. Poi, mi aveva addirittura cucinato un polipo squisito!

Lei rispose: “hai mangiato il nostro polipo”.

– fine – 

 


 

Ci ricolleghiamo all’ articolo sulla perdita e all’articolo sulla famiglia disfunzionale e il vuoto abbandonico, per dirvi quanto ci è stato riferito da un passante, molto molto tempo fa: “non è la parola che cura, ma la relazione”.

Questa persona ci fornì il titolo di un libro che ci guarda ancora dagli scaffali dei “libri da leggere” (troppi): “La parola che cura” di Micaela Castiglioni e, per dirci il titolo del volume, ci chiamò, in modo che potessimo sentire la sua voce. 

Vi lasciamo con la ricetta più preziosa della zia Ludovica (non quella del polipo, ci siamo arresi a chiedergliela, è davvero gelosa delle sue ricette!).