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NON PER TUTTI
Se vi è mai capitato di essere “lì lì” per scrivere un qualcosa e poi non avere il “la” per farlo, vi potrebbe capitare di riceverlo quando meno ve lo aspettate.
Magari, di pomeriggio, senza farci molto caso, durante una conversazione in cui cogliamo degli spunti che ci vengono buoni per il messaggio che vogliamo trasmettere.
Dunque, da dove iniziamo? Ah si, dal “la”. Dal “do”, insomma. Il LA viene dopo, musicalmente parlando ed è proprio del verbo “dare” che vogliamo parlare.
Il suo contrario, è “togliere“.
Quando ci occupavamo della rubrica “sinonimi e contrari”, in collaborazione con Vicenza City, queste due parole sarebbero calzate a pennello, poiché “fatti non fummo per viver come bruti“, scrisse il Dante.
Sempre tempo addietro, parlavamo della necessità di circondarci di bellezza, per far fronte alle più o meno gravi miserie che a volte la vita ci regala (anche impacchettate, a volte – anche con un bel fiocco, a volte, e tanto di biglietto augurale – alcune volte non sempre).
Per collegare questi due temi: “la grande bellezza” e “il dare”, dobbiamo per forza sfiorare quello delle “aspettative”, megalomane discorso che tra teoria e pratica ne lascia passare di acqua sia sotto che sopra il famigerato ponte.
Tornando al nostro pomeriggio spiccato di spunti, ci è stato raccontato un aneddoto che abbiamo potuto collegare, internamente, “a tutte quelle volte che“.
L’episodio è il seguente:
Un nostro amico, intento a mettersi a dieta, è stato fortemente demotivato dal suo migliore amico, con parole come “tanto non ce la fai”, “hai provato mille volte, non ce la farai nemmeno stavolta” e vari ed eventuali, q.b. (quanto basta).
E’ particolare come una persona possa osservare in un’altra persona il desiderio di fare qualcosa di bello per sé stessa e ricevere su questo demotivazione anziché stimoli, anche e soprattutto verbali, poiché anche se noi stessi parlavamo di quanto sia la relazione a curare davvero, e non la parola di per sé, quest’ultima assicuriamo che ci mette un bellissimo zampone natalizio, o addirittura una zampogna – che è quasi Natale, suvvia, passato l’inizio di settembre si va direttamente a fine anno, lo sappiamo – tanto che riguardo a questa mega sfera che contiene le parole, sia quelle belle che quelle brutte, non mancheremo di fare il nostro passaggio con un altro articolo-ne.
(Si, stiamo trasformando anche la grammatica. In fondo, mica questo è un blog normale, no?!)
Siamo rimasti colpiti dalla non capacità di gioire con l’altro, espresso dall’amico del nostro amico.
Perché, in fondo, se il desiderio in questione è un desiderio che regala gioia, perché dovremmo ricevere mancanza di incentivi o meglio … denigrazioni e sottovalutazioni? Insomma, meglio il silenzio… o forse no?
Denigrazioni + Sottovalutazioni.
Risultato? Qualcuno denigra e sottovaluta le nostre azioni.
Un amico? #machedavero? Si.
Un amico? #machedavero? No.
Cioè, non è un amico.
Un amico non può che appoggiare, spronare, essere entusiasta, o esprimere la sua opinione, magari dicendoci “stai bene così!”, oppure chiederci se abbiamo qualche problemuccio di salute con qualche chilo in più, o se ci sentiamo semplicemente più a nostro agio con un corpo più sottile.
Insomma, son cose delicate. Questa delicatezza, come da titolo, non è da tutti.
Leggevamo qualche giorno fa una specie di filastrocca sull’empatia (l’abbiamo battezzata filastrocca perché ci piace come crocchia la parola filastrocca, anche se è più un reminder, un po’ come il nostro qui – ma più breve), che riportiamo di seguito, prestata da Psicoadvisor, pagina Facebook, di cui citiamo solo qualche riga:
Empatia non è per tutti
empatia non è da tutti
(…)
Empatia è misurare le parole
(…)
La filastrocca non è finita, e ci ha colpito la parte in cui vengono riportate le frasi “e cercare lo sguardo più comprensivo che si ha a disposizione per dire “non sei solo sono come te anche io”.
Ma l’altro è come noi sotto questo punto di vista? Ovvero: è empatico?
Perché empatia non è per tutti, empatia non è da tutti.
N.B.: è empatico. Perché l’empatia non si fa e non si sa. Si è – e basta. Poi ci sono le aggiunte, i togli di qua i togli di là, aggiungi questo e aggiunti quell’altro. Come un quadro da iniziare, i cui colori vanno cercati e calibrati.
L’altro non ha necessità di essere denigrato, bensì spronato, appoggiato, valutato per i suoi desideri e così dicendo “l’amico”, non interpellato in merito a qualche suo parere in proposito, non ci sta semplicemente “donando” qualcosa, ma anzi ci sta dando, togliendo autostima, denigrandoci e sottovalutandoci.
A volte, lo facciamo anche noi con noi (ma questo è un altro discorso e l’articolo è già bello pesto così, quindi rimandiamo l’approfondimento).
Potremmo rincarare la dose, all’amico, sferrando quella che un nostro conoscente chiama “le zampate leonine” e rispondendogli: “ma sei un nutrizionista?”, oppure, possiamo valutare da chi viene “il pulpito”.
Perché il bello del detto “senti da che pulpito vien la predica” è che chi agisce con i pulpiti (vale a dire, in gergo, “frasacce buttate là”) spesso non ha risorse per fare diversamente. Ovvero, non predica, nel senso che non sa argomentare, parafrasare, dialogare in modo costruttivo.
Come dicevamo, abbiamo bisogno di costruirla, la grande bellezza.
Quindi, andiamo dall’amico palestrato e godiamoci le sue di motivazioni, che sicuramente sono più nelle nostre corde.
“Copiate, copiate, copiate” diceva qualcuno, anni addietro, “copiate quando non sapete fare una cosa”. Non preoccupatevi di copiare, tanto non sarà mai uguale. Almeno, però, l’ispirazione non sarà una minaccia tendente a recidere le nostre intenzioni (se avevamo catalogato l’amico come amico), ma contribuirà a nutrirci di buono.