GLI ERRORI
In questi giorni, a causa di alcuni avvenimenti, abbiamo riflettuto su ciò che riguarda l’argomento “errori” e su quel che possiamo dire in merito. Abbiano notato che – sempre di più – soprattutto socialmente, esiste la scalata a quel che possiamo chiamare “barricarsi dietro le proprie convinzioni”.
Ci è capitato di osservare quanto è faticoso ammettere le mancanze, gli sbagli, e tutto ciò che la nostra mente spesso ci impedisce di osservare, probabilmente per evitare che la nostra immagine di perfezione crolli davanti a noi, riducendoci in pezzi e svelando la nostra non ben radicata autostima e l’immagine che vogliamo dare di noi stessi – non sempre coerente con ciò che davvero siamo.
Come qualcuno ha ironicamente riassunto in modo bizzarro e suadente nella serie Lucifer, trasmessa da Netflix, “l’autostima viene da dentro”. Ovvero, nessuno, oltre a noi, può coltivare davvero ciò che noi pensiamo di noi stessi. Anche se Mazikeen, il personaggio in questione, ha bonariamente liquidato la cosa in poche parole, l’autostima, in realtà, è nutrita in modo sano anche dal confronto con l’altro, poiché la vera autostima non è l’essere sempre “in ragione”, ma anzi è la possibilità di aprirsi al confronto senza che questo mescolamento di opinioni interne ed esterne ci faccia crollare, come una casa senza fondamenta.
Spesso, chi gode di molta e troppa autostima, gode di quel che possiamo chiamare “megalomania“, ovvero l’assoluta convinzione di essere nel giusto: quel giusto completamente mancante di empatia e di sensibilità e che ci impedisce di costruire rapporti basati sulla fiducia e sul rispetto.
L’autostima non è la capacità di dire “sono perfetto, non sbaglio mai“, ma è la possibilità interna di vedere ciò che sbagliamo e porvi rimedio – se possibile.
Sembra, almeno socialmente, che ammettere uno sbaglio corroda il nostro lavoro, il nostro essere, la nostra personalità; sembra, ancora di più, che sia umiliante per la nostra personalità il “poter sbagliare”, talmente umiliante che ci barrichiamo dietro le nostre ultra-convinzioni senza aprici al confronto utile, ma anzi, serrando i boccaporti.
Sembra che siamo talmente fragili che l’ammissione di una responsabilità faccia saltare il meccanismo che ci sorregge, perché dire “ho sbagliato” equivarrebbe ad ammettere una mancata perfezione di noi stessi, cosa che al giorno d’oggi sembra essere non solo richiesta, ma addirittura obbligata.
Noi pensiamo che ammettere uno sbaglio sia cosa degna di stima, poiché solo capendo cosa possiamo migliorare possiamo evitare di ripetere gli errori che – è capitato a tutti – ci hanno creato un problema.
Ammettere uno sbaglio inoltre ci avvicina all’altro e ci fa crescere – in qualsiasi campo vogliamo, che sia ɪɴᴛᴇʟʟᴇᴛᴛᴜᴀʟᴇ﹐ ᴘʀᴏғᴇssɪᴏɴᴀʟᴇ﹐ ᴘᴇʀsᴏɴᴀʟᴇ ᴏ ʀᴇʟᴀᴢɪᴏɴᴀʟᴇ.
Abbiamo inoltre notato che, all’ammissione di uno sbaglio, anche l’altro può ammettere un suo di sbaglio, svelando così come questo sia perfettamente umano, necessario e assolutamente utile.
L’augurio, a chiusura di questo articolo, è quello di saper distinguere, quando incontriamo qualcuno che non vuole negoziare e trovare un punto di incontro: cose che favoriscono la mediazione, il compromesso utile e si allontanano dalla chiusura rispetto al fatto di imparare qualcosa di nuovo di noi e del mondo che ci circonda.
Il perché di questo augurio si spiega da solo: in caso di esagerata autostima non c’è alcun confronto utile che ci attende e ciò che conviene davvero fare è lasciare il campo per dedicare le nostre energie a qualcosa di più fruttuoso.