CONFINI E CONFINANTI

 
Oggi torniamo sull’argomento confini sfiorando un tema molto caldo e sempre più attuale: il sessismo.
 
Citiamo testualmente dall’enciclopedia Treccani on-line:
sessismo s. m. [der. di sesso, sul modello di razzismo e per influsso del fr. sexisme e ingl. sexism]. – Termine coniato nell’ambito dei movimenti femministi degli anni Sessanta del Novecento per indicare l’atteggiamento di chi (uomo o donna) tende a giustificare, promuovere o difendere l’idea dell’inferiorità del sesso femminile rispetto a quello maschile e la conseguente discriminazione operata nei confronti delle donne in campo sociopolitico, culturale, professionale, o semplicemente interpersonale; anche, con sign. più generale, tendenza a discriminare qualcuno in base al sesso di appartenenza.
 
Negli ultimi giorni abbiamo avuto modo di approfondire il tema del “femminismo”, seguendo alcune diatribe on-line che hanno manifestato un interesse più o meno esplorativo sull’argomento. Quando si cita il femminismo, innumerevoli sono i confronti che ne conseguono: c’è chi lo intende come la lotta della donna nel contrastare la supremazia dell’uomo nella società e nei vari settori (dalla concorrenza salariale a quella relazionale); c’è chi lo intende come esaltazione del genere femminile su quello maschile (alla pari, quindi, di altre temibili discriminazioni relative ai generi), c’è chi infine non lo considera affatto e abbraccia l’agnosticismo della questione.
Ora, l’articolo di oggi non vuole scomodare alcunché di troppo filosofico relativo ai generi, ma semplicemente parlare di fatti, così da dare una – 𝕝𝕚𝕖𝕧𝕚𝕤𝕤𝕚𝕞𝕒 – infarinatura a quel che noi intendiamo come femminismo.
 
Lo vogliamo fare, e lo vogliamo fare con una storiella, la “storiella di Ugo”.
 
 
Se parliamo di professionalità intendiamo qualcuno in grado di svolgere un lavoro.
Ora, immaginiamoci una scena: contattiamo un giardiniere per un lavoro di potatura e taglio erba. Il professionista si reca presso la nostra abitazione, ricevendo tutto ciò che la normale ospitalità richiede: “buongiorno” – “buonasera” – “possiamo darci del tu?” – “vuoi un caffè?” e convenevoli vari, attinenti all’accoglienza casalinga.
Ora, in questa storia, il giardiniere è puramente un giardiniere, ovvero noi non conosciamo la vita del giardiniere oltre il suo compito per cui riceve un pagamento, quindi ciò che ci interessa è che sia “𝕓𝕣𝕒𝕧𝕠 𝕟𝕖𝕝 𝕤𝕦𝕠 𝕝𝕒𝕧𝕠𝕣𝕠”, competente, in grado di farlo e in grado di farlo bene, con tutte le ramificazioni (per stare in tema di giardinaggio), del caso: pulizia, accortezza, rispetto della propria sicurezza e di quella altrui e quanto altro per noi un bravo giardiniere deve possedere.
 
Se dovessimo attenerci alla pura 𝕗𝕠𝕣𝕞𝕒𝕫𝕚𝕠𝕟𝕖, tutte queste caratteristiche rientrerebbero nel campo del “sapere” e del “saper fare”. Il nostro giardiniere, infatti, dovrebbe essere a conoscenza dei periodi più indicati nell’anno per la potatura dei fiori, conoscere il nome di arbusti e piante, terminologie varie e così via: tutto quel che rientra nel “𝕤𝕒𝕡𝕖𝕣𝕖” e nella conoscenza teorica della materia “giardini”. Invece, per quanto riguarda il “𝕤𝕒𝕡𝕖𝕣 𝕗𝕒𝕣𝕖”, il giardiniere – che a questo punto, essendo diventato di fiducia, merita un nome proprio che potrebbe essere “Ugo” – dovrebbe essere in grado fisicamente di eseguire dei lavori. Ovvero, dovrebbe aver introiettato le modalità di esecuzione di quel che si chiama “potatura”, “sfalcio”, “misurazione” e tutto ciò che è di sua competenza.
Oltre al sapere e al saper fare, Ugo, per la sua completezza lavorativa, dovrebbe anche “𝕤𝕒𝕡𝕖𝕣 𝕖𝕤𝕤𝕖𝕣𝕖”. Ovvero, dovrebbero appartenergli tutte quelle competenze trasversali utili alla sua professione: saper comunicare con i clienti, saper negoziare, agire con rispetto ed educazione, essere affidabile, puntuale e quanto altro gli permette di essere un giardiniere che noi richiameremmo per altri incarichi.
 
Ora, immaginiamo che a fine lavori il giardiniere faccia un apprezzamento sulla gentilezza e simpatia della persona che ha svolto gli onori di casa e gli ha offerto il caffè – in questo caso sulla co-proprietaria di casa, che nel suo immaginario collettivo probabilmente “riceve gli ospiti mentre il maschio lavora”.
Supponiamo che questo parere, di puro apprezzamento per la gentilezza e la simpatia incontrate – e quindi apparentemente genuino – venga dato non alla persona che l’ha accolto, provvedendo ad essere ospitale (come sarebbe logico, naturale e coerente con le più conosciute consuetudini di buon galateo), ma venga invece condiviso con, appunto, il su citato “maschio che lavora” – assente durante l’esecuzione del lavoro – e comunque co-proprietario di casa e giardino.
Il commento, pur se a contenuto benevolo, del tipo “Tizia è stata molto gentile e simpatica” in riferimento alla figura femminile che gli ha offerto il caffè, ma condiviso con la figura maschile convivente, non solo è fuori luogo, ma per di più è sessista.
 
Approfondiamo di seguito:
 
Il compito del giardiniere è … svolgere il suo compito, che è quello del giardinaggio: per questo è pagato e appunto per questo non gli è chiesto di esprimere pareri di natura personale, di qualsiasi tipo, al di fuori di piante e fiori, che sono lavorativamente di sua competenza.
Il giardiniere – battezzato Ugo – se decide di condividere apprezzamenti personali lo dovrebbe fare con il/la diretta interessata: ovvero chi ha compiuto le azioni per cui lui vuole condividere il suo apprezzamento, non altri. In quest’ultimo caso, valicando i confini delle sue competenze lavorative, compie un atto di mancata professionalità (viene meno il saper essere) e, nel compierlo, si tinge del più bieco maschilismo, nella modalità da lui scelta per esprimere ciò che potrebbe sembrare un complimento.
Se vogliamo infatti indagare nella dinamica sessista, Ugo non ha scelto di esprimere pareri riguardanti il comportamento dell’uomo, condividendo questo parere con la donna, ma l’ha fatto verso la donna, condividendo con l’uomo.
 

 
La domanda è una e una soltanto: PERCHE’?
 
La scena inversa, non si è verificata.
Ugo non ha detto alla donna “simpatico e gentile il tuo uomo”.
Ugo ha detto all’uomo “simpatica e gentile la tua donna”.
 
Scene di questo tipo si potrebbero vedere “nei peggiori bar di Caracas“, dove un tizio strizza l’occhietto all’altro mentre una donna entra in un locale. Ma nei bar e nei locali, queste scene, sono all’ordine del giorno: ce le aspettiamo. Invece, non ce le aspettiamo tra le mura di casa, quando un “Tizia è stata molto gentile e simpatica” suona ancor peggio della strizzatina d’occhio al bar, in quanto stride e va verso il “Ehi compare, approvo questo e quello”.
La storia di “𝕌𝕘𝕠 𝕚𝕝 𝕘𝕚𝕒𝕣𝕕𝕚𝕟𝕚𝕖𝕣𝕖” ci insegna quanto ciò che diciamo lavorativamente ci accompagni e ci faccia apparire più o meno professionali, più o meno competenti, più o meno “da richiamare per altri lavori”.
Inoltre, ci insegna quanto ancora la donna da alcuni – non tutti – sia considerata oggetto di valutazione e destinataria di approvazione, tanto che questa stessa valutazione e questa stessa approvazione, a volte, possono essere non ben tarati e risultare completamente erronei, sovvertendo quindi il commento stesso di “simpatia e gentilezza” – in questo caso – un po’ a ricordare la favoletta delle pecorelle travestite da lupi, che tutti conoscono e per la quale non ci dilunghiamo, lasciando la parola a chi ha qualcosa da dire, come Margherita Vicario, che con la sua “Giubbottino”, sovverte gli stereotipi.