LA RISONANZA

 

Quando pensiamo ai cinque sensi, appoggiandoci alla conta tramite le dita della mano, ci viene subito in mente la scaletta con cui, da bambini, ci è stato insegnato quali sono:

  • vista
  • udito
  • gusto
  • olfatto
  • tatto 

(… Si, è giusto!)

Il tatto – pover’uomo – è fermo all’ultimo posto (nemmeno fosse un tassello da aggiungere agli altri, più importanti, ma anche no).

In effetti è banale, quasi scontato.

(… Un, due, tre, tocca a te!)

Anche noi, in senso lato, ci siamo ricordati di questo fedifrago senso tramite un piccolo rimedio di pronto soccorso “a portata di donna” (si, uno di quei rimedi che una donna deve sempre avere in borsetta, accanto al rossetto di stagione e allo spray per l’alito fresco: tipo una rivista di quelle che “figuriamoci se le donne non leggono” – cit).

 

Si dice:

“il tatto è il primo senso attraverso il quale incontriamo il mondo.

E l’unico davvero reciproco: ogni volta che tocchiamo, siamo toccati.

E’ lo strumento più importante del legame sociale”.

 

 

Ora, evitando di andare in giro a toccare tutti – a meno che non ci troviamo in uno di quei famosi flash mob in cui uno sconosciuto abbraccia un altro sconosciuto e, tramite l’abbraccio, si fa felice l’endorfina, che fa felice noi, che facciamo felice lei, possiamo dedicare a questo misterioso senso uno spazio che va oltre la pelle che sfiora e viene sfiorata.

 

Lo abbiamo battezzato “il tatto mobile” e vi spieghiamo cos’è con un piccolo racconto/incontro.

 


Un anno fa abbiamo partecipato a un evento e, inaspettatamente, abbiamo ritrovato una persona che non vedevamo da tempo.

L’abbraccio – quello fisico – ha aspettato ad arrivare.

Al suo posto, e prima del suo arrivo, l’imbarazzo piacevole della situazione ci ha fatto “perdere gli occhi”. Si, perché sono gli occhi che si perdono quando avviene che il tatto – quello metafisico – fa capolino.

Era piacevole, per la vista, trovarsi di fronte a quell’incontro. E la vista di cui parliamo, è molto simile a ciò che per noi è immateriale: è una vista esteriore.

“Io ti vedo”, insomma, e quindi … io ti ascolto, io ti sento, io ti tocco.

Il tocco è stato profondo, tant’è che dopo aver visto questa persona, averla ascoltata, averla sentita (essendo stati visti, ascoltati e sentiti), abbiamo avuto la stretta necessità di “farci un abbraccio”, dissetante come una splendida IPA seduti a bordo piscina, bevuta mentre strizziamo l’occhio ad un tramonto estivo.

A vederla tutta, ciò che ci ha realmente toccati è stato il fatto che quella persona non aveva nessun interesse ad essere lì: nessun tornaconto, nessun ricavo.

Era una situazione strana: un fortuito incontro durante un evento in cui ci si rende conto che si è coltivato qualcosa quando non si sapeva esistessero una coltivazione, nè un campo, nè degli attrezzi e tanto meno del concime.

Eppure, quella coltivazione, inaspettatamente, torna a salutarci, e lo fa con un sorriso (si, perché se non possiamo permetterci una IPA possiamo sempre osservare se ci sono lamponi selvatici nella foresta oscura e, si sa, nelle favole anche i lamponi sorridono).

Ci siamo quindi rivisti lì, mentre gli anni di lontananza si facevano ricordare ma il legame del “sei tu” bussava senza chiedere un qualcosa in cambio, anzi.

Ma… il racconto prosegue, perché come in ogni favola che si rispetti, dove c’è una gioia c’è anche il suo opposto: eravamo intenti ad abbracciare quella persona e ad annusare quella sua inaspettata e consolidata presenza durante quell’ evento, quando (all’improvviso!) siamo stati attratti da qualcos’altro. Ci siamo avvicinati a quel qualcosa, inconsapevolmente pensanti che “il tatto mobile” fosse scontato, per chiunque.

Credendo di poterci appoggiare a quello che ci ha attratto, mentre invitavamo l’abbraccio ad attenderci un attimo, abbiamo incontrato il contrario del tatto: ciò che possiamo chiamare “rifiuto” – ovvero ciò che non ha a che fare con l’ accoglienza: nessuna vista, nessun sentire, nessun tocco.

L’incredulità della situazione, dato che l’evento era uguale per tutti, ci ha lasciati così di stucco che, ripensando al “tatto mobile“, abbiamo capito che a parità di conoscenze – intese come “io conosco la situazione” – è la persona , davvero, a fare la differenza, con il suo privato “tatto mobile”.

Senza tanti arzigogolati discorsi (“Senti chi parla?!”): Tizio è così, Caio è colà.

Ci è venuta quindi in mente la nostra scala dei bisogni e ciò che nutre questi bisogni: forza, legame, spirito, solidità.


 

Tornando alla situazione e ripensando allo spirito, tutti e 5 i nostri sensi non possono rimanere inermi: è lo spirito che si respira in alcune situazioni, ed è in quelle situazioni che si vede lo spirito.

Perché lo spirito, si vede, davvero.

Ci piace chiamare questo racconto “elle” (all’italiana).

… Perché, si, aprendo la borsetta abbiamo trovato un piccolo rimedio, letto su “elle” (alla francese), e ci è piaciuto così tanto che abbiamo deciso di abbonarci, al tatto mobile!