L’ABBANDONO

 
Giorni fa abbiamo avviato un contest parasimpatico tramite i social relativo a tutto ciò che riguarda la famiglia disfunzionale.
Abbiamo raccolto le vostre lettere, le vostre confessioni, le vostre intimità (di cui vi ringraziamo), tutte centrate sul tema “ᴀʟɪᴇɴᴀᴢɪᴏɴᴇ ᴘᴀʀᴇɴᴛᴀʟᴇ”.
La via provocatoria è stata il detto “ᴘᴀʀᴇɴᴛɪ sᴇʀᴘᴇɴᴛɪ﹐ ᴄᴜɢɪɴɪ ᴀssᴀssɪɴɪ﹐ ғʀᴀᴛᴇʟʟɪ ᴄᴏʟᴛᴇʟʟɪ”, espressione di origine italiana che abbiamo preso ad esempio per far luce sul fondo di verità che spesso i proverbi regalano.
È vero che la famiglia, luogo in cui il vincolo dovrebbe rappresentare la solidarietà e la fratellanza, è spesso sinonimo di dolore, angoscia e sofferenza? E se sì, ᴘᴇʀᴄʜᴇ̀?
Il mondo è anche questo, al di là della tipica immagine del “Mᴜʟɪɴᴏ Bɪᴀɴᴄᴏ” dietro la quale tutti o quasi tutti siamo barricati (o vogliamo far credere di essere).
La famiglia tossica, esiste, al di là dei fatti di cronaca nazionale che i tg passano giornalmente, con i casi più gravi fatti di omicidi e reati.
Parlare di “famiglia tossica” impone di selezionare e sezionare vari e più argomenti mastodontici e impossibili da descrivere in un solo articolo. Ci permettiamo però di avvicincarci il più possibile ai bagliori che alcune delle dinamiche (e solo alcune) intercorrono.
Iniziamo dalla nascita, momento in cui ognuno di noi si aspetta di crescere in un ʟᴜᴏɢᴏ sɪᴄᴜʀᴏ, ovvero un luogo in cui i bisogni fondamentali tipici dell’uomo sono assicurati: sostentamento e protezione dal pericolo.
Ogni bambino sa più o meno inconsciamente che il legame di sangue rappresenta il sommo vincolo grazie al quale gli viene assicurato il “luogo sicuro”, in cui lui oltre a essere protetto e sostenuto è amato come rappresentante di questa “cerchia”, costituita appunto da un vincolo di sangue, fatta di familiari strettissimi (per par condicio chiamati mamma e papà, anche se li potremmo chiamare papà e papà o mamma e mamma), e familiari stretti (zii, cugini, nonni).
Tutto ciò per il bambino rappresenta “ʟᴀ ᴄᴀsᴀ”: il luogo sicuro.
La casa è il posto dove si imparano e si accolgono le prime dinamiche relazionali, il primo amore per eccellenza.
Tutto ciò che viviamo “nella casa” viene poi riportato nel mondo, in età adulta – più o meno consapevolmente.
Oʀᴀ﹐ ᴄᴏsᴀ ᴘᴜᴏ̀ ᴀᴠᴠᴇɴɪʀᴇ ··ɴᴇʟʟᴀ ᴄᴀsᴀ·· ᴘᴇʀ ᴄᴜɪ ɪʟ ʙᴀᴍʙɪɴᴏ ɴᴏɴ ʟᴀ ᴠᴇᴅᴇ ᴘɪᴜ̀ ᴄᴏᴍᴇ ʟᴜᴏɢᴏ sɪᴄᴜʀᴏ﹖
Dalle lettere che ci sono arrivate abbiamo raccolto più testimonianze su questo tema e, scusandoci per non poter scendere troppo nei dettagli, vedremo solo alcune di queste.
Dᴀ “ᴄᴀsᴀ ʟᴜᴏɢᴏ ᴅ’ᴀᴍᴏʀᴇ” ᴀ “ᴄᴀsᴀ ᴛᴀɴᴀ ᴄʀᴜᴅᴇʟᴇ”﹐ ϙᴜᴀʟɪ sᴏɴᴏ ʟᴇ ᴄᴏʟᴘᴇ ᴅɪ ᴄᴜɪ sɪ ᴘᴜᴏ̀ ᴍᴀᴄᴄʜɪᴀʀᴇ ᴜɴᴀ ғᴀᴍɪɢʟɪᴀ﹖
Cᴏᴍᴇ sɪ ᴘᴜᴏ̀ sᴀʟᴠᴀʀᴇ ᴜɴ ʙᴀᴍʙɪɴᴏ﹖
Solo per rispondere a queste domande bisognerebbe dover iniziare a scavare a fondo, ma non è nostro compito centellinare ogni singolo caso, ma solo, in questa sede, riassumere.
Il bambino, proprio perchè bambino, gode di una notevole grazia prima dell’età adulta, chiamata “ricezione”.
Ovvero, il bambino è colui che riceve, dalla famiglia, semplicemente amore.
Non è suo compito “dare amore”, inteso come l’essere rappresentante di tutte quelle forme di accudimento proprie degli adulti.
Il suo compito è solo ricevere, rappresentando di per sè un dono a cui gli adulti si riferiscono riversando il loro di amore (già sviluppato e adulto).
 
Cᴏsᴀ sᴜᴄᴄᴇᴅᴇ ɪɴ ᴛᴜᴛᴛᴇ ϙᴜᴇʟʟᴇ ғᴀᴍɪɢʟɪᴇ ᴄʜᴇ ɴᴏɴ ᴠᴇᴅᴏɴᴏ ɪʟ ʙɪᴍʙᴏ ᴄᴏᴍᴇ “ʀɪᴄᴇᴛᴛᴏʀᴇ ᴅ’ᴀᴍᴏʀᴇ”﹖
Le cause sono innumerevoli e come detto sopra, per dovere riassuntivo, useremo il termine “ᴛᴏssɪᴄɪᴛᴀ̀”.
Cᴏsᴀ ʀᴀᴄᴄʜɪᴜᴅᴇ ɪʟ ᴛᴇʀᴍɪɴᴇ ᴛᴏssɪᴄɪᴛᴀ̀﹖
𝗧𝘂𝘁𝘁𝗲 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗲 𝘀𝗶𝘁𝘂𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗶𝗹 𝗯𝗮𝗺𝗯𝗶𝗻𝗼 𝗻𝗼𝗻 𝗱𝗼𝘃𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝘃𝗶𝘃𝗲𝗿𝗲, 𝘁𝗿𝗮 𝗰𝘂𝗶 𝗹𝗮 𝘃𝗶𝗼𝗹𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗳𝗶𝘀𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝗹𝗮 𝘃𝗶𝗼𝗹𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗼𝗹𝗼𝗴𝗶𝗰𝗮.
 
Tralasciando le descrizioni sulla violenza fisica – che meriterebbero un capitolo a parte – ci concentreremo sulla violenza psicologica, annotando alcuni degli spunti ricevuti.
 
Cᴏsᴀ ᴇ̀ ʟᴀ ᴠɪᴏʟᴇɴᴢᴀ ᴘsɪᴄᴏʟᴏɢɪᴄᴀ﹖
In breve, quando un bimbo non è amato e gli viene fatto capire che non è amato.
I modi per non amare un bimbo sono innumerevoli e ogni famiglia ha i propri, ma per riportare qualche esempio potremmo fare una sintesi:
– quando un bambino non è visto per le sue caratteristiche proprie e uniche, quel bambino non si sente amato;
– quando un bambino è costretto a diventare adulto prima dell’età adulta, quel bambino non è amato poichè gli viene tolto il diritto essenziale all’essere bambino e quindi poter giocare, ricevere amore incondizionato, comportarsi da bambino, disobbedire, fare il monello e tutto ciò che si addice all’età infantile;
– quando un bambino è costretto a prendersi cura dell’adulto poichè vittima di situazioni abbandoniche egli non si sente amato, dato che è costretto a privarsi dell’amore che “dovrebbe” ricevere e a trovare dentro di sè una fonte non ancora salda – per ovvi motivi d’età – e regalarla all’adulto;
– quando un bambino non è bambino ma interpreta tutti gli altri ruoli che la famiglia gli impone, al di fuori della sua fascia d’età, egli semplicemente viene costretto ad indossare delle maschere che non gli appartengono ma che l’adulto gli impone. 
 
 
Cerchiamo di dettagliare maggiormente queste piccole verità:
 
 
𝗖𝗼𝘀𝗮 𝘃𝘂𝗼𝗹 𝗱𝗶𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝘂𝗻 𝗯𝗮𝗺𝗯𝗶𝗻𝗼 𝗵𝗮 𝗰𝗮𝗿𝗮𝘁𝘁𝗲𝗿𝗶𝘀𝘁𝗶𝗰𝗵𝗲 𝗽𝗿𝗼𝗽𝗿𝗶𝗲 𝗲 𝘂𝗻𝗶𝗰𝗵𝗲?
Ognuno di noi è dotato di peculiarità che fanno di noi ciò che siamo.
Potremmo chiamarli pregi e difetti, lati caratteriali, interessi. Tutto ciò rappresenta questo “noi” e aspetta solo di essere scoperto e indirizzato: se è vero infatti che un bambino può amare l’arte e un altro bambino può esprimere interesse verso lo sport, è dovere e compito del genitore (data la sua scelta consapevole di essere genitore), osservare queste caratteristiche e nutrire nel bambino la fiducia in sè stesso che si esprime attraverso queste peculiarità.
Nel caso il genitore proietti nel figlio i propri desideri, le proprie aspirazioni, le proprie velleità, il bambino crescerà sapendo che “𝘀𝗮𝗿𝗮̀ 𝗮𝗺𝗮𝘁𝗼 𝘀𝗲 …”.
 
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In parole povere egli è privato del diritto all’amore incondizionato perchè il tanto ambito amore genitoriale non è regalato ma veicolato tramite un ricatto affettivo.
Il genitore o i genitori ricattatori tra le righe intendono: “se rappresenterai ciò che io voglio tu rappresenti allora e solo allora ti amerò”.
Nel caso il bambino scelga di disubbidire al genitore egli non sarà più il suo ricettacolo d’amore, che se anche non è in forma incondizionata rappresenta pur sempre qualcosa di cui lui ha bisogno.
𝗖𝗼𝘀𝗮 𝘃𝘂𝗼𝗹 𝗱𝗶𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝘂𝗻 𝗯𝗮𝗺𝗯𝗶𝗻𝗼 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗻𝘁𝗮 𝗮𝗱𝘂𝗹𝘁𝗼 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗲𝘁𝗮̀ 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗼𝗻𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗹𝗼 𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗲𝗴𝗹𝗶 𝗲̀ 𝘃𝗶𝘁𝘁𝗶𝗺𝗮 𝗱𝗶 𝘀𝗶𝘁𝘂𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗮𝗯𝗯𝗮𝗻𝗱𝗼𝗻𝗶𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗲𝗶 𝗿𝘂𝗼𝗹𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗮 𝗳𝗮𝗺𝗶𝗴𝗹𝗶𝗮 𝗴𝗹𝗶 𝗶𝗺𝗽𝗼𝗻𝗲?
All’interno del nucleo familiare possono accadere innumerevoli cose dipendenti da agenti esterni (malattie, infortuni, fallimenti lavorativi, imprevisti e quanto altro) e da agenti interni (separazioni, divorzi, litigi, incomprensioni, difficoltà economiche…).
Nel caso il genitore riesca a far fronte a tutto ciò e ad attingere alle sue risorse personali, il bambino non si vedrà costretto ad intervenire in “veste genitoriale”. All’adulto infatti è richiesto di comportarsi da adulto: ovvero di avere la responsabilità di accudimento verso sè stesso.
L’adulto si rivolge a sè stesso o ai suoi “simili” per ricevere tutto ciò di cui ha bisogno: conforto, attenzioni, consigli, scambi di opinione.
Nel caso il genitore decida (spesso in modo inconsapevole e spesso per sue proprie carenze personali dovute a conflitti interiori non risolti) di non rivolgersi ai suoi simili ma di attribuire al bimbo maggiori aspettative di quanto lui è capace di sopportare, sarà quest’ultimo a rappresentare ciò che il genitore non trova all’esterno.
È in questo modo che il bambino diventerà la madre, il padre, l’amante, il confidente, la stampella, il genitore… 𝗶𝗹 𝘀𝗮𝗹𝘃𝗮𝘁𝗼𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗶 𝗴𝗲𝗻𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶.
Egli non sarà mai semplicemente “figlio”, ovvero colui che è “salvato” tramite l’educazione, l’attenzione, l’accompagnamento alla vita, ma prima del tempo dovrà porsi come “emittente” d’amore.
Nessuno vede quel bambino, tutti lo costringono a diventare adulto.
Ecco che allora le dinamiche familiari si rovesciano completamente: è il bambino che fa da madre al padre, il bambino che fa da madre alla madre, il bambino che può finire a fare l’amante di entrambi – anche al di fuori del campo della pedofilia intesa come atto fisico, ma subendo un abuso psicologico che è comunque inquadrato come pedofilia.
E’ questo abuso in età infantile a far divenire il suo essere invisibile.
Il suo vero sè, quello di un bambino, non è visto da nessuno, ma se egli indossa le varie maschere sì
𝗟𝗮 𝘀𝗽𝗮𝗰𝗰𝗮𝘁𝘂𝗿𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗶 𝗴𝗲𝗻𝗲𝗿𝗮 𝗮𝗹𝗹’𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗻𝗼 𝗲̀ 𝗺𝗶𝗰𝗶𝗱𝗶𝗮𝗹𝗲: 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝘀𝗲̀ 𝘀𝘁𝗲𝘀𝘀𝗶 𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗿𝗶𝗰𝗲𝘃𝗲𝗿𝗲 𝗮𝗺𝗼𝗿𝗲 (𝗾𝘂𝗶𝗻𝗱𝗶 𝘃𝗲𝗻𝗶𝗿𝗲 𝗮𝗯𝗯𝗮𝗻𝗱𝗼𝗻𝗮𝘁𝗶) 𝗼 𝗶𝗻𝗱𝗼𝘀𝘀𝗮𝗿𝗲 𝘂𝗻𝗮 𝗺𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗮 𝗲 𝗿𝗶𝗰𝗲𝘃𝗲𝗿𝗲 𝗮𝗺𝗼𝗿𝗲 𝗴𝗿𝗮𝘇𝗶𝗲 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗺𝗮𝘀𝗰𝗵𝗲𝗿𝗮 (𝗲 𝗾𝘂𝗶𝗻𝗱𝗶 𝘃𝗶𝘃𝗲𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗱𝗶 𝘀𝗲̀ “𝗹’𝗮𝗯𝗯𝗮𝗻𝗱𝗼𝗻𝗼 𝗱𝗶 𝘀𝗲̀” 𝗲 𝗹’𝗮𝗯𝗯𝗮𝗻𝗱𝗼𝗻𝗼 𝗱𝗲𝗴𝗹𝗶 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗶 𝗶𝗻 𝗰𝗼𝗻𝗳𝗿𝗼𝗻𝘁𝗼 𝗮𝗹 𝘀𝗲̀ 𝘃𝗲𝗿𝗼?!).
 
Lᴀ sᴄᴇʟᴛᴀ ᴇ̀ sᴏʟᴏ ᴀᴘᴘᴀʀᴇɴᴛᴇ﹐ ɪɴ ᴏɢɴɪ ᴄᴀsᴏ ᴇɢʟɪ ᴠɪᴠᴇ ʟ· ᴀʙʙᴀɴᴅᴏɴᴏ.
Ora, a causa di queste dinamiche intercorse e di queste aspettative riposte è il bambino stesso a sviluppare delle doti di cui 𝗹𝗶𝗰𝗲 𝗠𝗶𝗹𝗹𝗲𝗿 – psicologa e saggista svizzera – parla nel libro “Il dramma del bambino dotato”. 
 
I suoi poteri di “cura” verso l’altro, se diretti verso il sè, lo salvano.
Questo come può avvenire?
In vari modi.
Qualcosa, all’interno del bambino, fa sì che lui colga i particolari esterni alla dinamica familiare.
 
Questo 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗰𝗼𝘀𝗮 𝗼 𝗾𝘂𝗮𝗹𝗰𝘂𝗻𝗼 può essere rappresentato da qualsiasi oggetto d’amore esterno: il bimbo può vedere come suo punto di riferimento una maestra, un amico di famiglia, il genitore di un’altra famiglia, il compagno di scuola, il super eroe dei cartoni animati e così via.
A ben vedere, questo trasferimento d’amore verso l’esterno, rappresenta il suo essere per così dire “primitivo”, ossia – useremo una parola che non amiamo ma qui doverosa – 𝘀𝗮𝗻𝗼, rispetto alla dinamica.
Grazie a questo suo “prendere amore” da altro, egli sopravvive e “paga il prezzo” che altri hanno causato:𝗶𝗹 𝘀𝘂𝗼 𝗽𝗿𝗲𝘇𝘇𝗼 𝗲̀ 𝗹𝗮 𝗿𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮, emozione che non conosce in quanto è sempre stato “bravo e buono”.
E’ grazie e a causa del confronto con l’altro diverso da sè che lui può “vivere meglio” rispetto alla dinamica iniziale in cui è cresciuto, sentendo al tempo stesso la furia molecolare per non aver ricevuto lui stesso ciò che altri – più fortunati – hanno potuto avere.
Il suo dramma è proprio questo: essendo estremamente intelligente, avendo “preso da altri” egli sa che per salvarsi non può rifarsi agli esempi osservati nelle dinamiche vissute.
Allo stesso tempo è condannato a conoscere tutto ciò, attraversare la sua rabbia e adottare i suoi strumenti per – finalmente – viverla.
 
𝗤𝘂𝗮𝗹 𝗲̀ 𝗮𝗹𝗹𝗼𝗿𝗮 𝗶𝗹 𝘀𝘂𝗼 𝗱𝗼𝗹𝗼𝗿𝗲?
Il dolore di questo tipo di bambino è rappresentato dalla domanda “𝗽𝗲𝗿𝗰𝗵𝗲̀ 𝗶𝗼 𝗻𝗼?”, una domanda che mentre viene posta non profuma di invidia verso “𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗶”, bensì rappresenta il suo stupore e la sua angoscia.
Finchè infatti egli è rimasto all’interno della dinamica “malata”, non ha vissuto il dolore.
La coperta che l’ha visto nascere e crescere gli permette di accocolarsi nella normalità di ciò che dall’esterno normale non è.
“𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗶 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗶”,
Si potrebbe pensare che, oramai, essendo trascorsa l’età del bambino, egli viva il lutto e abbandoni “quel tempo che non potrà più tornare”.
𝗟𝗮 𝘀𝗽𝗮𝗰𝗰𝗮𝘁𝘂𝗿𝗮 𝘀𝗶 𝗴𝗲𝗻𝗲𝗿𝗮 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗶𝗹 𝗯𝗮𝗺𝗯𝗶𝗻𝗼 – 𝘂𝗻𝗮 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗮 𝗮𝗱𝘂𝗹𝘁𝗼 – 𝗺𝗲𝘁𝘁𝗲 𝗶𝗹 𝗽𝗶𝗲𝗱𝗲 𝗳𝘂𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗽𝗼𝗿𝘁𝗮 𝗲 𝘃𝗲𝗱𝗲 𝗮𝗹𝘁𝗿𝗲 𝘀𝗶𝘁𝘂𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶, 𝗰𝗮𝗽𝗼𝘃𝗼𝗹𝘁𝗲 𝗿𝗶𝘀𝗽𝗲𝘁𝘁𝗼 𝗮 𝗰𝗶𝗼̀ 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝘂𝗶 𝗵𝗮 𝘃𝗶𝘀𝘀𝘂𝘁𝗼: 𝗲̀ 𝗹𝗶̀ 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝘂𝗶 𝘃𝗶𝘃𝗲 𝗶𝗹 ʟᴜᴛᴛᴏ, 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗯𝗮𝗺𝗯𝗶𝗻𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗲̀ 𝗺𝗮𝗶 𝗻𝗮𝘁𝗼 𝗲 𝗰𝗵𝗲, 𝘂𝗻𝗮 𝘃𝗼𝗹𝘁𝗮 𝗮𝗱𝘂𝗹𝘁𝗼, 𝗽𝘂𝗼̀ 𝘃𝗲𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗮𝗹𝗹𝗼 𝘀𝗽𝗲𝗰𝗰𝗵𝗶𝗼, 𝗺𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻𝗼 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗱𝗶 𝗹𝘂𝗶 𝗵𝗮 𝘃𝗶𝘀𝘁𝗼.
 
Lui è consapevole che la sopravvivenza dipende da questo suo essere e che è in grado di adempiere a questo suo scopo, dato che l’ubbidienza che l’ha distinto fin da piccolo e l’ha guidato verso la salvezza, gli fa da “aiutante” anche da adulto, trasformandolo in un ribelle.
Per fornire qualche ulteriore spunto, possiamo rivolgerci al brano di 𝗖𝗲𝘀𝗮𝗿𝗲 𝗖𝗿𝗲𝗺𝗼𝗻𝗶𝗻𝗶 “𝗣𝗮𝗱𝗿𝗲 𝗠𝗮𝗱𝗿𝗲”e alla pellicola cinematografica “𝗜𝗹 𝗿𝗮𝗴𝗮𝘇𝘇𝗼 𝗶𝗻𝘃𝗶𝘀𝗶𝗯𝗶𝗹𝗲” 𝗱𝗶 𝗚𝗮𝗯𝗿𝗶𝗲𝗹𝗲 𝗦𝗮𝗹𝘃𝗮𝘁𝗼𝗿𝗲𝘀.
 
Pensiamo sia accurato far parlare il cinema e la musica di questo tipo di “bambini dotati”: musicisti e registi che, forse, hanno saputo trasformare il loro dolore in opere d’arte.