VA TUTTO BENE?

Navigando nel profondo web, ci siamo imbattuti in una frase molto applaudita nei social, opera dell’autore Ⲕⲉⲓ⳽ⳙⲕⲉ Ⲙⲇⲧ⳽ⳙⲙⲟⲧⲟ, filosofo di origine giapponese divenuto famoso per la sua capacità di introdurre nelle case europee alcune pillole di filosofia orientale.
La frase che ha destato il nostro interesse è la seguente:
 
 
“LAMENTARSI E’ UNA PERDITA DI TEMPO”
 
Oggi più che mai, soprattutto all’alba delle recenti disposizioni del nuovo DPCM relativo al Covid-19, vorremmo porre qualche riflessione su questa affermazione che profuma di sol levante e che è estrapolata dal celebre saggio dell’autore giapponese: “Manuale di pulizie di un monaco buddhista”.
Chiaramente, la frase che vogliamo indagare proviene da un contesto più ampio come “smettere di lamentarsi mentre si lavora”, “smettere di lamentarsi per non passare il tempo a dare la colpa agli altri” e così via.
Mettendo in luce la definizione di “ⳑⲇⲙⲉⲛⲧⲟ” vogliamo dare più spessore all’utilità o meno di questa tipologia di asserzioni che sempre più, anche nel nostro occidente, stanno prendendo piede e diventando convinzioni.
 
 
Lungi da noi, ovviamente, evitare di affermare che – presa in certe dosi – la filosofia orientale offra spunti considerevoli a cui poter attingere. Non possiamo però evitare di chiederci se ciò che stiamo leggendo, affermando, e “sposando interiormente”, abbia davvero ⳙⲛⲇ ⳳⲇⳑⲉⲛⲍⲇ ⲥⲟ⳽ⲧⲅⳙⲧⲧⲓⳳⲇ più che repressiva.
 
 
𝐋𝐚𝐦𝐞́𝐧𝐭𝐨 𝐬. 𝐦. [dal lat. Lamentum]. – 𝟏.𝐚. 𝐕𝐨𝐜𝐞, 𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐝𝐨𝐥𝐨𝐫𝐞, 𝐬𝐩𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐦𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐚𝐥 𝐩𝐢𝐚𝐧𝐭𝐨: fare, mandare un l.; emettere lamenti, rompere in lamenti, levare alti l.; l.pietoso, straziante. 𝐛. 𝐄𝐬𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐫𝐚𝐦𝐦𝐚𝐫𝐢𝐜𝐨, 𝐝𝐢 𝐢𝐧𝐬𝐨𝐝𝐝𝐢𝐬𝐟𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨; 𝐥𝐚𝐠𝐧𝐚𝐧𝐳𝐚, 𝐫𝐢𝐦𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚: non si sentono che lamenti sul cattivo funzionamento del servizio; essere sordo ai l. dei propri dipendenti; ho sentito molti l. sul conto tuo, sulla tua condotta.
(𝘧𝘰𝘯𝘵𝘦: 𝘛𝘳𝘦𝘤𝘤𝘢𝘯𝘪 𝘸𝘦𝘣)
 
 
Alla lettura della frase presa sotto osservazione, la prima immagine che ci è venuta in mente è stata quella di una persona che abusa di un’altra persona (al termine persona possiamo sostituire il termine categoria/classe/gruppo o “insieme di”).
Nel “ⲛⲟⲛ ⳑⲇⲙⲉⲛⲧⲟ” ciò che salta all’occhio in questo tipo di situazione è un verbo dal suono dettagliato e lugubre: SOCCOMBERE.
 
In caso di soprusi, in assenza di lamento, si soccombe.
 
Immaginiamoci una scena estrema, in questo consenso privo di protesta: la persona che non si lamenta è davanti a noi, a testa bassa, con sguardo tremulo verso il pavimento, spalle ricurve, voce flebile, sopracciglia corrucciate.
Ciò che sente quella persona, nel suo non lamentarsi, è: ⲅⲇⲃⲃⲓⲇ.
La persona che si priva del suo lamento, della sua rabbia, si priva di una parte di sè importantissima: parte della sua umanità.
 



𝐋𝐚 𝐫𝐚𝐛𝐛𝐢𝐚 𝐞̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐞𝐦𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚𝐫𝐢𝐞 𝐚𝐬𝐬𝐢𝐞𝐦𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐮𝐫𝐚, 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐭𝐫𝐢𝐬𝐭𝐞𝐳𝐳𝐚, 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐠𝐢𝐨𝐢𝐚: 𝐯𝐢𝐛𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐫𝐞𝐚𝐧𝐨 𝐯𝐢𝐜𝐢𝐧𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐞𝐝 𝐚𝐩𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞𝐧𝐞𝐧𝐳𝐚, 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐢 𝐟𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐫𝐞 “𝐜𝐚𝐥𝐨𝐫𝐞 𝐮𝐦𝐚𝐧𝐨”.

 
Secondo Erich Fromm nella nostra società le emozioni vengono scoraggiate: l’essere emotivo è diventato sinonimo di instabilità e di squilibrio interiore e quindi ciò che viene spontaneo provare è la vergogna per le nostre emozioni.
Invero, gli studi sull’intelligenza emotiva asseriscono che sono proprio le nostre emozioni e la conseguente capacità di codificarle e di dar loro un nome a rappresentare la nostra forza e non la nostra debolezza. 
E’ il caso di tutte quelle persone che fanno sentire la loro voce, il loro “NO” al soccombere, la loro lotta contro la paura di dire ciò che pensano.
 
 

E’ proprio la presenza del lamento che, da sempre, ha guidato tutte le più grandi rivoluzioni nonché le insurrezioni della storia.
È grazie a questo tipo di emozioni che alcuni popoli hanno liberato le loro terre dagli invasori, altri hanno costituito le prime leggi, altri ancora hanno lottato per avere diritto di voto.
 
Il dire: “Ⲛⲟⲛ ⲙⲓ ⳳⲇ ⲃⲉⲛⲉ ⲥⲟ⳽ⲓ̀” è alla base di ogni scontro e quindi incontro sociale, è la pietra miliare di ogni cambiamento interiore e di ogni presa di posizione verso ciò che non vogliamo ed è proprio questa energia a dar vita all’assenza di sottomissione, all’ardore, alla propulsione interna che genera nuove strade personali.
 
 
 
 
𝐂𝐢𝐨̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐢𝐧𝐠𝐮𝐞 𝐢𝐥 𝐥𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐫𝐮𝐭𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐝𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐢𝐦𝐩𝐫𝐨𝐝𝐮𝐭𝐭𝐢𝐯𝐨 non è il lamento in sè ma ⳑ’ⲇ⳽⳽ⲉⲛⲍⲇ 𝖽ⲓ ⲇⲍⲓⲟⲛⲉ, ovvero il ripetersi di un comportamento senza l’agire conseguente, coerente alla tipologia di idea che si sposa con il proprio lamentarsi.
 



Preso a dose consapevoli il “non lamento” 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐩𝐫𝐨-𝐚𝐭𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐫𝐮𝐭𝐭𝐢𝐯𝐨: immaginiamo di dover far fronte a una determinata situazione dove la 𝐩𝐚𝐳𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚 è la virtù a cui sappiamo di dover attingere. Scegliere di non protestare, in queste situazioni, può essere doveroso e rigenerativo, a patto che sia consapevole.
In altri casi, invece, troviamo sia semplice ⲅⲉⲣⲅⲉ⳽⳽ⲓⲟⲛⲉ: 𝐢𝐥 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀.